Su una chat che si occupa di Digitale – Etica – Democrazia ho letto un post di Giorgio Ardito che ritengo significativo riproporre.

Svezia, il prezzo sociale (che grava sui più poveri) dell’economia senza contanti
La transizione verso la cashless society, in Svezia, è quasi completata. Ma, se per la maggior parte dei cittadini, la digitalizzazione dei pagamenti è una soluzione rapida e conveniente, per chi è costretto a dipendere dai contanti la vita sta diventando sempre più complicata.
La transizione verso un’economia senza contanti è un fenomeno globale, ma in Svezia il passaggio è quasi completo. E, adesso, mostra anche le sue criticità. Dal 2007 ad oggi, la quantità di denaro contante in circolazione è diminuita del 50%, secondo i dati della Banca di Svezia. Questo cambiamento è stato favorito dalle leggi nazionali e da una cultura fortemente orientata verso la tecnologia.
La normativa svedese pone al centro il principio di «libertà contrattuale»: permette alle imprese, incluse le banche, di decidere autonomamente se accettare contanti. Di conseguenza, trasporti pubblici, negozi e servizi spesso rifiutano il denaro fisico, e non esiste un modo per pagare le bollette in contanti.
L’accelerazione verso la cashless society è iniziata nel 2012 con l’introduzione dell’app di pagamento Swish, sviluppata da un consorzio di banche. Entro il 2017, gli svedesi utilizzavano meno contanti rispetto a qualsiasi altro paese europeo e, oggi, oltre l’80% della popolazione dispone di un account Swish.
Ma, se per la maggior parte dei cittadini, la digitalizzazione dei pagamenti rappresenta una soluzione rapida e conveniente, per chi è costretto a dipendere dai contanti, la vita sta diventando sempre più complicata.
Esclusione e povertà nell’economia senza contanti
Una ricerca di Moa Petersén, professore associato di Culture digitali, e Lena Halldenius, professore di Studi sui Diritti Umani all’Università di Lund, ha analizzato come questa transizione influisca negativamente sui gruppi più vulnerabili della società svedese. Molte delle persone intervistate vivono in una condizione di dipendenza dai contanti dovuta alla povertà: non hanno un conto bancario, non dispongono di credito o non possono permettersi la tecnologia necessaria per accedere ai pagamenti digitali.
Anche se è difficile quantificare con precisione il numero di persone che dipendono dai contanti, dalla ricerca emerge che sono gli anziani a essere particolarmente colpiti. Non riescono nemmeno a pagare le bollette digitalmente. Tra gli intervistati ci sono senzatetto, rifugiati e persone con problemi di salute mentale, oltre a chi vive con un reddito molto basso. Le difficoltà che queste persone affrontano sono sia pratiche che culturali, e le fanno sentire marginalizzate, svalutate e incapaci di partecipare alla vita quotidiana.
Chi è costretto a vivere nella «bolla di contanti» può acquistare beni essenziali, ma non può pagare parcheggi o bollette senza aiuto. Un rifugiato ucraino, impossibilitato ad aprire un conto bancario a causa del suo status, ha raccontato alle ricercatrici di non riuscire a saldare una parcella medica per mancanza degli strumenti digitali. I senzatetto che dormono in auto si trovano a dover ricorrere a un mercato nero, dove chi possiede uno smartphone paga per loro i parcheggi a un costo maggiorato. Essere digitalmente poveri è molto costoso.
Molti intervistati hanno descritto con un misto di vergogna, rabbia e rassegnazione le umiliazioni che vivono ogni giorno. Una donna ha raccontato di aver risparmiato per acquistare un regalo per il nipote, solo per sentirsi dire alla cassa, con il nipote accanto, che il suo denaro non sarebbe stato accettato. «Mi sono sentita come una ladra», ha confessato.

Per impedire quest’ulteriore marginalizzazione delle fasce più deboli dobbiamo impegnarci per:

1.il mantenimento di sportelli fisici e del contante per legge fino;

2.l’alfabetizzazione e l’aggiornamento digitale permanente di tutta la popolazione e, come nel “patronato scolastico” la fornitura del materiale necessario (smartphone basico) per utilizzare questo nuovo linguaggio;

3.la creazione di una rete di assistenza, consulenza e uso gratuito del segnale digitale. Si tratta di un impegno culturale, pedagogico, organizzativo, politico che dev’essere analogo a quello degli anni ’50/60 che sconfisse l’apnalfabetismo. Occorrerebbe una simile programmazione permanente per contrastare l’analfabetismo funzionale denunciato anni fa da De Mauro e riposto all’attenzione in queste settimane da OCSE, CENSIS, ISTAT ecc. È insieme un problema di democrazia in se e di difesa della democrazia: l’ignoranza favorisce svolte autoritarie.