Il forum lavoro metropolitano ha predisposto un documento con l’obiettivo di individuare una visione complessiva sui diversi nodi che attagliano il mondo del lavoro oggi. Con il documento che qui di seguito riportiamo, il forum intende raccogliere i contributi dei Circoli per predisporre una conferenza tematica a livello Regionale. I contributi devono essere inviati a roberto@cavaglia.eu in qualità di coordinatore del forum , se vorrete inviarli anche a redazionepd8@gmail.com saremo contenti di raccoglierli e magari pubblicarli in queste pagine.
UN PD CHE SI IMPEGNA A SCIOGLIERE I “NODI” SUL LAVORO
DIECI SFIDE PER LO SVILUPPO.
Nel nostro Paese registriamo, dopo l’effetto PNRR sul PIL, una crescita che ritorna bassa. La variazione per l’intero anno 2024 è stata stimata tra lo 0,4% e lo 0,6% a seconda delle fonti e delle revisioni dei dati. Ottobre si è chiuso con la notizia di un PIL sostanzialmente fermo.
In Piemonte nel secondo trimestre del 2024 si era già registrata una flessione dello 0,7%. Ma il Piemonte in questi ultimi anni pur crescendo, poco (+0,65), è cresciuto molto meno di tutte le altre regioni del Centro Nord (fonte: CGIA su dati Prometeia). Ma il confronto con l’Europa è impietoso perché la nostra regione si colloca all’ 89 posto per PIL pro capite. (fonte: Eurostat).
Se non verranno affrontati i “nodi” strutturali del sistema produttivo e del mercato del lavoro al massimo si continuerà a galleggiare in una situazione di piccoli aumenti quantitativi dell’occupazione, senza fare quel salto qualitativo della stessa, indispensabile per dare un forte sviluppo al PIL, altrimenti destinato, come riconosce il Piano Strategico di Bilancio inviato a Bruxelles dal Governo italiano, a restare a livello di zero virgola fino al 2030.
Ma sappiamo comunque che il benessere non è il PIL!
Il modello di sviluppo nato verso la fine degli anni ’90 oggi è evidente a tutti che non funziona, perché genera una crescita bassa, lavoro povero e salari troppo bassi.
Il modello che per essere competitivi bisogna svalutare i salari è durato troppo a lungo. E’ il modello che svaluta il costo del lavoro per guadagnare competitività. Questo è la narrazione tossica che ci ha perseguitato dal 1990 in avanti. Paghiamo poco le persone così abbiamo costi più bassi e diventiamo competitivi. È necessario cambiare o almeno migliorare il modello economico. Tutto nasce dalla normativa proliferata in quegli anni.
Oggi il lavoro povero è diventato un fenomeno strutturale, e non si risolve se non si interviene sui salari, che sono troppo bassi. Avere un lavoro dignitoso deve essere un punto fondamentale della nostra proposta.
La perdita del potere d’acquisto verificatasi in questi anni lo dimostra ampiamente. In 30 anni i salari sono aumentati del 2,7% laddove in Francia e Germania sono aumentati del 30%. Situazione paradossale ed insostenibile. In sintesi, se i salari sono bassi, bisogna aumentarli. Prima di tutto, è necessario rinnovare i contratti nazionali. Sono milioni i lavoratori che devono firmare i contratti e bisogna cominciare seriamente a riflettere su come andare oltre la semplice tutela del potere d’acquisto, oltre l’inflazione. Oggi l’inflazione è al 17,0%, ed è evidente che c’è una continua erosione dei salari, che continuerà perché il governo, nella legge di bilancio, ha previsto un aumento del 5,7%.
La prima questione è quindi il potere d’acquisto. È urgente trovare meccanismi che incentivino la rinegoziazione regolare dei contratti collettivi. Tuttavia, tutti i contratti, anche quelli rappresentativi, devono prevedere un salario minimo che non scenda sotto i 9 euro l’ora.
Il salario minimo aiuta a rafforzare la contrattazione sana a combattere i contratti pirata ed i micro sindacati. A questo proposito, è fondamentale sostenere la legge sulle rappresentanze sindacali (dei circa 1.000 contratti esistenti, solo meno di 1/3 sono stati firmati da CGIL, CISL e UIL) per fermare la deriva dei contratti pirata, soprattutto in settori particolari come i trasporti e la logistica. È anche necessario ridurre il numero dei contratti e cercare di unificarli.
Si pone quindi un problema cruciale di recupero dell’inflazione.
La stessa Banca d’Italia afferma che ci sono margini per un recupero. Non bisogna dimenticare che nei paesi OCSE le leggi sul salario minimo hanno tenuto per quanto concerne l’inflazione.
Il lavoro povero è anche lavoro nero, che è un lavoro “poverissimo”. Il caporalato, in settori come l’agricoltura, costringe le persone a condizioni di vita subumane. Il bacino del lavoro nero è alimentato prevalentemente da lavoratori stranieri. Questa è un’altra questione delicata. Dobbiamo iniziare a pensare a una forza lavoro multietnica nel nostro Paese. La questione degli stranieri non è solo un problema umanitario e culturale (quindi politiche di integrazione serie), ma anche economico. Dobbiamo comprendere che le fasce di età centrale della popolazione attiva sono sempre più esigue, con un numero sempre minore di giovani, mentre la forza lavoro è invecchiata. È necessario regolarizzare, formare, qualificare e integrare i lavoratori stranieri, rafforzando il sistema dei CPIA (per l’alfabetizzazione) e la formazione professionale (per la qualificazione e specializzazione). Sarebbero necessarie serie politiche di inclusione che questo Governo non ha la sensibilità per farle. Ecco perché è urgente introdurre lo Ius Scholae, uno strumento fondamentale per favorire questa transizione.
La precarietà nel nostro Paese è aumentata in modo esponenziale. Ci sono oggi ormai 46 forme contrattuali diverse (compresi i Voucher, ripristinati in una nuova forma dal governo in carica). Troppo precariato e troppa discontinuità nel lavoro! In Piemonte solo 1 lavoratore su 4 ha un contratto stabile (fonte: Report CPI del Piemonte 2023).
Potremmo definirlo “Lavoro senza speranza” perché non permette, in particolare ai giovani, di programmarsi il futuro. Se vogliamo parlare ad esempio del lavoro a chiamata c’è una inquietante copertina dell’Economist del 30 dicembre 2014 che rappresentava un rubinetto d’oro da cui sgorgavano autisti, medici, badanti, manager, camerieri… l’immagine rappresentava in modo efficace la diffusione di questa forma di lavoro con lavoratori a disposizione come l’acqua di un rubinetto che si apre e si chiude a piacimento. Per queste ragioni dobbiamo invertire la rotta!
Le 170.000 dimissioni registrate in Piemonte nel 2023, prevalentemente di giovani, ci stanno ad indicare che qualcosa non va e vengono date le dimissioni non solo per il salario che abbiamo visto rimane basso ma anche per l’assenza di gratificazione nel posto di lavoro (fonte: Report CPI del Piemonte 2023). Domandiamoci veramente cosa sta accadendo ai nostri giovani in questo mercato del lavoro. Le prospettive di carriera non sono soddisfacenti ed i giovani italiani sono relegati sempre più nei livelli inferiori delle gerarchie aziendali.
E questo riguarda anche la nostra PA. Perché c’è una mobilità pazzesca di giovani che vincono concorsi e se non sono soddisfatti dopo un po’ di mesi cambiano posto di lavoro (Inps, Agenzie delle entrate, Comuni, Enti strumentali…). Cosa sta succedendo alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi? Qui si attivano concorsi, si parla di una nuova stagione di reclutamento per la PA ma la PA va digitalizzata e la digitalizziamo pagando gli informatici 1.300 euro al mese? E poi non pensiamo che non ci sia precarizzazione anche nella PA. In molte amministrazioni manca un terzo dell’organico ed i contratti a tempo sono cresciuti del 31,0% in tre anni (fonte fp CGIL). Poi ci sono in Piemonte 33.915 giovani che si inventano il lavoro e si aprono una Partita IVA. Sono tutti sintomi che nel lavoro dipendente c’è qualcosa che non funziona. Anche se in questo caso si pone il problema delle finte Partite IVA (che prudentemente stimiamo tra il 20-25% nella nostra Regione).
Il problema è proprio la qualità del lavoro insomma abbiamo lavoro povero, insicuro e senza futuro. Aumenta l’economia da bar legata a settori con scarsa produttività e salari soffocati. Meno di 5 ore medie lavorate al giorno. Troppe Partite Iva e troppi lavori precari.
E che dire poi dei 190.728 disoccupati amministrativi registrati nel 2023, il 50,0% con bassi livelli di istruzione? Qui risulta abbastanza evidente che la questione delle donne è centrale. Al di là del Part Time involontario che ne vede coinvolte circa la metà, dall’analisi dei dati risulta che le donne oltre a crescere in maniera inarrestabile dal 2018 nella disoccupazione risultano prevalenti con il 55,0% di presenza tra i disoccupati amministrativi. Sono più attive nel mercato del lavoro (firmano ad esempio più Patti di servizio degli uomini) ma poi risultano molte meno tra le persone assunte. (fonte: Report CPI del Piemonte). Delle 497.107 Persone assunte nel 2023 le donne sono il 48,6%. (fonte: report CPI del Piemonte).
Malgrado l’importante Programma Garanzia Occupabilità Lavoratori, la politica attiva del lavoro realizzata e partita nel 2022, abbia decisamente organizzato meglio i servizi dei CPI piemontesi registra nel Percorso 4 quello dell’inclusione sociale solo il 5,0% di Beneficiari. Dimostrando ancora una volta che gli interventi sono più quantitativi che qualitativi. I fragili non sono presi in carico in maniera sufficiente. Lo stanno anche a dimostrare i 108.342 Neet (fonte: Istat Data) che avrebbero bisogno di interventi personalizzati e non standardizzati. Per certi versi aveva funzionato meglio il Programma Garanzia Giovani che ne aveva presi in carico il 26,0%. Su questi soggetti bisognerebbe probabilmente utilizzare la strada scelta dalla Regione Lombardia dove è stato siglato tra la Regione Lombardia, l’ufficio scolastico regionale e i Comuni un protocollo di Intesa che prevede dentro il programma Gol la presa in carico dei Neet da parte dei CPIA.
L’assenza di un indirizzo politico che prenda in considerazione i soggetti più fragili dal punto di vista sociale e del mercato del lavoro pone il problema della importante infrastruttura pubblica delle politiche attive del lavoro dei Centri per l’Impiego del Piemonte che dopo l’avvio dei Concorsi a partire dal 2018 si è notevolmente rafforzata (quasi 900 operatori) ma in assenza di un indirizzo politico che si occupi di questi soggetti più svantaggiati oggi opera prevalentemente sulla quantità degli interventi e molto meno sulla qualità. Per altro la qualità dovrebbe essere realizzata dai percorsi “brevi” di formazione in mano alle Agenzie private di cui tra l’altro non conosciamo gli esiti.
Per i più bisognosi cioè quelli che provenivano dal Reddito di Cittadinanza il Governo sembra aver studiato un sistema di formazione che sembra costruito apposta per non funzionare. Il cosiddetto Sostegno Formazione Lavoro in vigore da poco più di un anno ha coinvolto meno di 90.000 persone in Italia (tra 500.000 persone potenzialmente occupabili) hanno fatto domanda per il sistema di formazione da 350 euro al mese per pochi mesi e solo 48.000 sono stati gli effettivi beneficiari. Questa che avrebbe dovuta essere la nuova politica attiva del lavoro risulta fallimentare. Molti non riescono a riceverlo e non si sta rivelando utile a trovare lavoro, eppure ha sostituito il Reddito di cittadinanza proprio per quello. In Piemonte ha coinvolto pochissime persone circa 2.039 (fonte: Report CPI del Piemonte 2023). La drastica riduzione dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza ha peggiorato drasticamente la situazione aumentando comunque il numero delle persone in povertà assoluta. E pensare che tra il 2019 ed il 2023 sono stati ben 218.921 i beneficiari del reddito di Cittadinanza. A livello regionale si stima che circa 109.757 persone siano in difficoltà economica e si evidenzia l’urgenza di interventi sociali (fonte: Istat Data). In Piemonte, i dati più recenti indicano che la povertà assoluta ha continuato a crescere, soprattutto a causa dell’incremento dei costi della vita (alimentari, energia, …) e delle difficoltà legate alla pandemia e alla crisi economica. E’ più che evidente che la somma di Assegno di Inclusione e Sostegno formazione lavoro è bel lontana da coprire la quota di persone in difficoltà, rispetto alla platea protetta in precedenza dal Reddito di cittadinanza.
Ora però non si capisce come è possibile che in Piemonte i Centri per l’impiego fortemente rafforzati dal 2016 siano immobilizzati su questi importanti aspetti del disagio sociale. Non si fa abbastanza su certi target per l’assenza di un indirizzo politico che non pensa realmente nè ai più poveri, nè ai più fragili. Oggi i CPI sono diventati il mercato degli enti che fanno formazione. Una formazione sempre meno mirata alle esigenze delle imprese in una epoca veloce trainata dall’ AI e dalle piattaforme digitali. Ma d’altronde come può un ente come Agenzia Piemonte Lavoro che ha la gestione dei CPI avere un indirizzo tecnico-politico quando manca la testa. Non ha infatti un CDA, non ha un numero adeguato di dirigenti e non ha un presidente. Poi ancor peggio capire come hanno inciso i percorsi formativi di 150 e 600 ore dal punto di vista occupazionale. Non si hanno dati dei 28.306 avviati in formazione al giugno del 2024 in Piemonte. (fonte: Report Inapp del giugno 2024).
Il sindacato italiano, insieme alle mobilitazioni e agli scioperi, ha avanzato diverse ipotesi di riequilibrio dei rapporti tra lavoro impresa: la proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione della CISL, la proposta della CGIL sulla Carta dei diritti universali del lavoro e più recentemente la raccolta di 4 milioni di firme per quesiti referendari finalizzati ad abrogare le norme sulla precarietà dei rapporti di impiego e sulla de-regolazione del sistema degli appalti. È necessario invertire la tendenza alla liberalizzazione al margine del mercato del lavoro che ha reso più vulnerabili milioni di lavoratrici e lavoratori, determinando una condizione di impoverimento strutturale. Una tendenza che l’attuale collegato lavoro alla legge di bilancio non solo non intende contrastare, ma rafforza con interventi che aumentano incertezza e ricattabilità del lavoro.
Fare una riflessione ad ampio raggio sul lavoro non può dimenticare di capire la prospettiva, insomma, su cosa succederà in un futuro prossimo sul lavoro perché le nuove tecnologie, in particolare l’AI generativa e il lavoro da piattaforma, stanno trasformando il mercato del lavoro, e spesso l’Italia è in ritardo nel governare questi cambiamenti. Gli algoritmi, che già regolano il lavoro di molti, dai rider a molti altri settori, pongono interrogativi su come influiranno sulle condizioni lavorative e sull’occupazione. È fondamentale che questi processi vengano governati e non ci sfuggano, perché potrebbero generare disastri. Gli algoritmi ormai governano il mercato del lavoro, non solo per i rider, ma anche per lavoratori in altri settori. È questo il lavoro del futuro? Peggiorerà o migliorerà le condizioni dei lavoratori? È una domanda che è lecito porsi, soprattutto per un Partito che guarda al futuro. Gli algoritmi devono essere trasparenti e comprensibili dalle rappresentanze sindacali, ma il governo attuale ha ridotto questa possibilità con il decreto del primo maggio, aumentando la precarietà. Purtroppo, al momento, questi algoritmi non sono conoscibili, e la norma voluta da questo governo li rende ancora più inaccessibili, sostenendo che facciano parte del brevetto industriale.
Oltretutto gli algoritmi non sono neutri: riproducono discriminazioni di genere, razza e altre che affrontano difficoltà legate alla religione o al genere. Inoltre, l’AI nel reclutamento perpetua disuguaglianze, distorcendo le scelte. L’innovazione tecnologica, pur aumentando la produttività, solleva la questione di chi ne beneficia. Oggi, sono gli algoritmi a governare il lavoro, e il rischio è che ciò porti a una maggiore disoccupazione e disuguaglianze, a meno che non vengano distribuiti equamente i benefici dell’innovazione.
Proprio in relazione agli effetti che l’innovazione digitale, in particolare quella legata all’AI generativa, può avere sul mercato del lavoro e sull’occupazione, è urgente introdurre una norma che regoli la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, un tema cruciale non solo per l’organizzazione e la qualità del lavoro, ma anche per il benessere delle persone. Conciliare i tempi di vita e di lavoro deve essere una priorità, soprattutto in un periodo di rivoluzione digitale. È necessario anche legare l’accesso agli aiuti pubblici a investimenti in innovazione e formazione, evitando che l’automazione riduca l’occupazione senza un adeguato riadattamento del lavoro. La riduzione dell’orario di lavoro è una misura che deve essere esplorata attraverso un processo articolato di confronto e sperimentazione, con soluzioni diverse come la riduzione dei giorni lavorativi o della durata giornaliera.
E’ necessario dunque un nuovo Patto sociale tra lavoratori, imprese ed istituzioni che implementi i principi sanciti dalla nostra Costituzione: libertà, lavoro, benessere in un contesto attento a preservare il patrimonio ambientale in cui viviamo. Apriamo un confronto aperto con le diverse componenti sociali della nostra Regione che sentono l’esigenza e l’urgenza di affrontare le trasformazioni climatiche, demografiche e digitali per gestire i cambiamenti già in atto provando a ricercare tutti i possibili momenti di sintesi. Condividiamo il più possibile queste idee favorendo il processo di coscienza dei cittadini affinchè si predispongano ad una partecipazione consapevole e attiva.